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one year

Un anno fa ho iniziato a lavorare in un posto nuovo: una specie di gabbia di cemento, però di lusso.

Per raggiungerla ci mettevo molto tempo, in bus. 
Molto tempo per fare domande alla città e, mentre mi perdevo in questi dibattiti furiosi con me stessa, ho fatto delle foto / nascondendo il mio “occhio” nelle più improbabili posizioni.

Mi chiedevo.


Chi si muove e vive sospeso lungo la sottile tela? 
Come funziona il bus nelle città di oggi? È uno spazio di libertà, uno specchio della condizione socioeconomica degli agglomerati urbani? È un enorme dispositivo di controllo, che nasconde simboli e segni sottili del potere? 

E se il bus è un microcosmo - una faccia miniaturizzata di Bologna - chi sono i bolognesi di oggi?

Mi chiedevo - mentre attraversavo la città, circondata soprattutto da stranieri, immigrati di prima o seconda generazione. 


Qualche tempo fa sono inciampata in queste parole di Munari - è sempre bellissimo cadere nelle sue braccia immaginarie:


“Gran parte delle nostre attività sono oggi condizionate da segni e simboli, usati, per ora, solo a scopo di comunicazione e informazione visiva.
Ogni segnale e ogni simbolo hanno un significato preciso di valore internazionale: qualunque persona, in qualunque parte del mondo sa che cosa deve fare quando si trova di fronte a un segnale stradale.
Siamo ormai condizionati a muoverci secondo le indicazioni di questi segnali ai quali non possiamo trasgredire, salvo punizione. Nella circolazione pubblica i nostri movimenti sono rigorosamente condizionati, come velocità, come direzione, come precedenza, allineamento, fermate.
In questo caso, per esempio, nessuno può fare ciò che vuole; ognuno di noi fa parte di un organismo più vasto che è la società umana e come nel nostro corpo ogni piccolo organo deve vivere in armonia con gli altri organi, così noi dobbiamo circolare in armonia con gli altri”. 
(B. Munari, Arte come mestiere, Laterza, Milano, 1966)

Un anno in bus, tutti i giorni, lungo il tragitto che dalla via Emilia porta nel cuore del Pilastro, una delle aree più multietniche della nostra città.
Un anno per documentare i volti e i percorsi dei bolognesi di oggi, quelli che i salvini di turno vorrebbero sotto controllo, sanzionati, a casa loro. 
Un anno per provare a mostrare il volto di una Bologna che è già vera, esiste, sorride, lotta, è piena di energia, è esausta. Sogna a occhi aperti e a occhi chiusi.


Un anno di fotografia in bus, per provare a distruggere le vecchie mappe e disegnarne una nuova, più vera. 
Una mappa a misura d’essere umano.

In bus siamo tutti passeggeri, siamo tutti questa parola piena di nostalgia – migranti – che non smettiamo mai di andare, cercare la meta.

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Essere passeggero del bus ti trasforma in un essere umano che osserva: hai d’improvviso a disposizione quella lunga, enorme finestra/finestrino sul mondo – là fuori – e tutto quel brulicare di vite, una attaccata all’altra – lì dentro. 
Sei in un teatro di commedie e tragedie quotidiane: sorrisi che s’aprono, mani strofinate, sguardi incrociati, occhi assorti, volti stanchi, felici, disperati.
Il bus è un piccolo mondo che si muove, la vita che viaggia, mentre la città quasi perde di importanza.

La città perde d’importanza e ciò che diventa essenziale sono le domande di chi la attraversa.

Dice Calvino - anzi no, non lo dice lui, lo fa dire a Marco Polo, che di terre e di stranieri ne sa molto di più:

“Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.

Mentre ero in bus ho pensato che la mia domanda era sbagliata.

Non dovevo chiedermi dove stavamo andando.

Forse, la vera domanda da rivolgere alla città era questa.

Di cosa, esattamente, siamo passeggeri?

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Questa ricerca non ha alcun valore sociologico, non è un reportage fotografico, non è un’inchiesta giornalistica.

Non ho nemmeno seguito un vero e proprio metodo, mi sono affidata alle giornate qualunque, ai frammenti rubati, al caso.
Questa ricerca è una domanda sulla città.
È una storia, e se ti va puoi leggerla e guardarla. Mettiti comodo perché c’è da ballare e perché le immagini non sempre sono buone, ma alcune le ho volute tenere lo stesso, testimoni del gesto di nascondersi e sussultare. 

Questa è una ricerca fatta sussultando, con lo sguardo e col pensiero, come i passeggeri dei bus di Bologna sulle sue strade sempre aperte. 
Sussultando e tremando, come i passeggeri di tutto il mondo, che l’attraversano e non sanno mai fino in fondo il perché.


 

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